Gian Paolo Montali è un ex tecnico di Pallavolo, poi dirigente prima di blasonate squadre di calcio e oggi leader della Ryder Cup di Golf, che per la prima volta nella storia si terrà in Italia l’anno prossimo.
Dopo la vittoria degli europei di volley con l’Italia, rilasciò una dichiarazione che colpì l’allora presidente Ciampi:
è stata una vittoria della squadra e non del gruppo
Nella visione di Montali, il vero segreto per vincere è convincere i giocatori a fare squadra, cioè giocare per competenze e far andare d’accordo persone che magari non hanno nulla in comune. Non si devono voler bene per forza, non devono essere amici per forza. Possono avere età diverse, parlare lingue diverse, religioni diverse, avere background e know how diversi, idee politiche e stipendi diversi. Ma devono lavorare per raggiungere uno stesso obiettivo, in base alle loro competenze, sapendo esattamente cosa fare, come e quando farlo.
Trattare il proprio team come fosse una azienda
Questi concetti sono estremamente validi per le organizzazioni sportive, ma sono applicabili anche alle organizzazioni aziendali, nelle quali il “capo” si trova a svolgere lo stesso lavoro di un allenatore. Del resto uno sport veloce come la pallavolo assomiglia un po’ al contesto “VUCA” che i team oggi vivono quasi quotidianamente.
Montali suggerisce che le persone si debbano concentrare su ciò che l’organizzazione gli richiede di fare, in base alle loro competenze. Sapendo esattamente cosa fare, come farlo, quando farlo, in che modo farlo, con che responsabilità. Per farlo serve una nuova mentalità di leadership e una partitura condivisa. Nel nostro linguaggio questa partitura si chiama modello di business, Business Model o, meglio, Team Model.
Trattare il team come fosse un’azienda o una startup: del resto un team non ha forse clienti interni o esterni da servire, per cui deve creare valore? È possibile rappresentare la partitura visivamente grazie al Team Model Canvas, così come descritto nel libro Business Model Team da noi curato per la Hoepli. Grazie a questo “terzo oggetto” i membri del team possono allinearsi e diventare protagonisti insieme al loro leader dell’innovazione della partitura, facendo fronte in maniera strutturata alle nuove sfide e diventando più autonomi e auto-diretti. Proprio come i giocatori del Coach Montali!
Un libro che parte da una provocazione
Siamo rimasti piacevolmente sorpresi nel leggere il nuovo libro di Domitilla Ferrari, con il provocatorio titolo “Il Pessimo Capo”: manuale di resistenza per un lavoro non abbastanza smart.
Il volume parte dal alcune caratteristiche tipiche della leadership “non abbastanza smart” per evidenziare soluzioni molto intelligenti, assolutamente in linea con la nostra visione: favorire il lavoro di squadra rendendo tutti più consapevoli del proprio ruolo e di quello degli altri.
Un ambito in cui siamo intervenuti innumerevoli volte: sono molte le aziende che ci hanno chiesto di supportare i membri di un team in attività di Personal Branding reciproco, con lo scopo di imparare a comunicare meglio il proprio ruolo e valore dentro e fuori l’organizzazione.
Ma non è sempre una visione condivisa. L’Autrice racconta nel libro la storia di un’azienda italiana di moda che produsse delle borse porta pc con stampati sopra disegni di animali che in qualche modo erano simbolo di un atteggiamento lavorativo “virtuoso”: c’erano squali, leoni, coccodrilli. Al di là del fatto che la borsa porta PC fosse considerata solo un accessorio maschile, ricorda di aver pensato che nessuno di quegli animali pareva simboleggiare un lavoro collaborativo, di team. C’è da dire che il lavoro è raccontato sempre così: tutti col coltello tra i denti, pronti a pugnalare gli altri alle spalle, e chi è alla guida non è il capitano di una squadra ma ha un che di gerarchia dell’esercito. Chi è in charge è al comando.
Persino il mio titolo professionale ha un sapore vagamente militare: in italiano sarebbe Direttrice marketing, in inglese è Chief Marketing Officer, che si traduce letteralmente come Ufficiale Capo (del marketing in questo caso, ma in inglese c’è un Chief-Officer per tutto).
Pessimi capi e alcuni peccati capitali
Ecco alcuni peccati “Capitali” del Pessimo Capo, perdonateci il gioco di parole, introdotti nel libro di Domilla Ferrari:
- Bilanciamento: distribuisce male il lavoro buttandolo al primo che capita. Quando c’era una cosa URGENTE da fare ASAP, a ricevere il compito era il primo della fila dopo la scrivania del capo. Se la persona era assente, si passava alla seconda scrivania.
- Feedback: c’è qualcosa che non va ma chi l’ha notata non lo dice perché ha paura di avere ripercussioni. Che ci sono sempre…
- Condivisione: non fa “networking” con i suoi “sottoposti”, non condivide la visione complessiva e non trasmette l’idea di un obiettivo comune da raggiungere. Accentra senza delegare nessuna decisione, neppure quelle che se condivise potrebbero fare la differenza.
- Capo opaco: pensa che mantenendo per sé la conoscenza di fatti e persone manterrà il potere. Elude il confronto, non si fa vedere, aumenta le distanze, condivide poco, e da remoto e ancora peggio. A volte manipola, dicendo solo ciò che fa comodo, ma il risultato che si ottiene spesso non è quello sperato.
- Capo confuso: non sa, non può o non riesce a fare il leader. Non si sente abbastanza sicuro a guardare verso l’alto, quindi guarda solo in basso e fa confusione. Non si fida di se stesso e delle sue competenze, e quindi non si fida neanche dei suoi collaboratori perché è probabile che quelle competenze non sappia neanche riconoscerle.
- Capo ragioniere: fa i conti di tutto, “microgestisce”, ma senza avere una visione d’insieme, che vada di pari passo con la strategia aziendale.
Hai un pessimo capo? Domitilla Ferrari ovviamente propone fiumi di soluzioni nel suo libro: per quelle ti rimandiamo ad una fruttuosa lettura!