Spesso si usano “reputazione” e “(Personal) Brand” come fossero interscambiabili, una sinonimo dell’altro. In molti, sia nella letteratura accademica sia nelle riviste del settore marketing, si sono cimentati nella loro distinzione, proponendo diverse accezioni, con varie sfumature.
La stessa sociologia si concentra infatti sul concetto di reputazione equiparandone la gestione al self branding e intersecandola con il capitale sociale. Non mancano per esempio i riferimenti a Bourdieu, che abbiamo già citato in precedenza, specie nelle analisi dedicate alla gig economy:
Il self branding diventa un investimento in relazioni sociali con rendimento atteso per l’acquisizione di una reputazione. Questo self branding equivale sostanzialmente con ciò che la teoria sociale chiama capitale sociale, essendo strumentale ad avere certezza occupazionale nel mercato del lavoro dei freelance, basato sull’economia della conoscenza digitale.
(Gandini A., Digital Work: self-branding and social capital in the freelance knowledge economy, “Marketing Theory”, vol. 16, iss. 1, 2016)
Nel tempo abbiamo scoperto quanto fare una distinzione tra i due aspetti sia utile dal punto di vista della definizione della propria strategia professionale.
Dal punto di vista strategico e pragmatico infatti sono due aspetti differenti:
1. Il Personal Brand riguarda la nostra capacità di influenzare il nostro target
Il Personal Branding di conseguenza è un atteggiamento di attacco al mercato, proattivo, volto a farci considerare la persona giusta dal nostro pubblico. Pone l’accento sul controllo sulla propria immagine professionale come primaria soluzione alle incertezze strutturali nell’economia del lavoro, spronando a farsi un nome, a distinguersi per attirare opportunità.
2. La reputazione riguarda il nostro ruolo rispetto alla società, all’azienda, al team o settore di appartenenza
Avere una buona reputazione significa essere considerati delle brave persone e quindi condividere con un certo contesto valori umani (etica) o professionali (competenza). Per esempio in un contesto lavorativo verremmo definiti “professionisti bravi e competenti”. La reputazione si gestisce con grandissima attenzione, in quanto generalmente determina la possibilità di sviluppare un Personal Brand efficace. Torna utile citare Ilkay Karaduman, che scrive:
Il Personal Branding è il processo attraverso il quale le persone e le loro carriere sono contrassegnate come brand e differisce dalla gestione della reputazione per gli obiettivi perseguiti. È direttamente volto a creare un patrimonio e una brand equity che appartiene a una particolare persona o individuo. Comprende, ma non si limita a, l’aspetto fisico e la conoscenza personale, porta a un’impressione distinguibile in modo univoco e memorabile.
(Karaduman I., The effect of social media on personal branding efforts of top level executives, “Procedia – Social and Behavioral Sciences”)
Provando a riassumere il concetto ai minimi termini, potremmo dire che il Personal Brand riguarda quindi l’influenza, mentre la reputazione riguarda l’approvazione. La sua gestione, infatti, è una tattica difensiva.
La reputazione è spesso e fortunatamente conditio sine qua non: non è accettabile in molti contesti sociali l’avere una cattiva reputazione. Un tema ovviamente influenza l’altro, soprattutto online dove tutto avviene molto più rapidamente e rimane a disposizione per un lungo tempo.
Perché distinguere tra Personal Brand e reputazione
Perché allora distinguere? Non perché siamo interessati particolarmente alle terminologie di per sé o alla teoria astratta, ma perché è necessario fornire a lavoratori e manager dei modelli operativi e agili per prendere decisioni sulla propria strategia e su quella dei loro collaboratori nello scenario complesso del lavoro che si è creato negli ultimi anni. Una sorta di supporto alla consapevolezza operativa coniata da von Glasersfeld nel suo “An Introduction To Radical Constructivism”, utile a supportare le scelte professionali.
Consapevole di questa distinzione ciascun professionista infatti può chiedersi: “Sono considerato ‘solo’ un buon (oltre che bravo) professionista da un ampio gruppo di persone o quello giusto da uno specifico gruppo di persone (target)?”. Come afferma Mark Di Somma:
Mentre lavori sui brand per ottenere il massimo ritorno da loro, proteggi la reputazione al fine di preservare credibilità e fiducia. Il brand è proattivo. La reputazione è difensiva. Entrambi sono importanti. Ciascuno può essere danneggiato – e la ricaduta influenzerà entrambi.
Secondo alcuni poi “la reputazione rappresenta l’elemento che connette i domini dell’offline e dell’online, rendendo il self branding un processo di costruzione del capitale sociale concepito in modo manageriale che usa la reputazione per allocare risorse diseguali”.
Come conclude Di Somma, “nello studio della relazione tra branding e valore socialmente prodotto a livello individuale, non dovremmo più circoscrivere il self branding a un semplice progetto di autorealizzazione, ma anche considerarlo come un lavoro strategico che punta all’acquisizione di un ritorno economico attraverso la gestione delle relazioni sociali – che in realtà è ciò che la teoria sociale chiama capitale sociale”.
NB: Interessante a questo proposito notare come la sociologia concettualizzi l’argomento Personal Branding in Azienda con l’espressione di “self branding”, a corollario delle più vaste e centrali ricerche e teorie sul self che rappresentano uno dei pilastri della disciplina del Personal Branding.
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