Viviamo in una società dominata dall’incertezza. Gli scenari economici e politici sono molto poco rassicuranti, mancano punti di riferimento forti, il concetto di posto fisso sta scomparendo e si diffondono teorie complottistiche, oltre a una cultura del sospetto. Al contempo, si moltiplicano le fonti informative, ed è difficile orientarsi tra fake news e post verità.
Di conseguenza, fidarsi non è più un atto scontato. A tutti noi servono delle scorciatoie informative e dei dispositivi che ci rendano più agevole l’apertura verso gli altri. Nel caso di prodotti e servizi, è il Brand a operare da “facilitatore”: <<non ho
mai usato un tale bene, ma lo produce una certa azienda, il cui buon nome è noto e verso il quale nutro fiducia>>. Funziona allo stesso modo con gli individui. In tempi incerti – o se si deve compiere una scelta tra più opzioni in un mercato competitivo molto affollato – è normale fare affidamento ad un individuo con un Personal Brand.
Esattamente come i brand di prodotti e servizi, anche il Personal Brand è un meccanismo di influenza che serve a risolvere il problema della fiducia in un contesto di incertezza. Chi ci deve scegliere infatti spesso lo deve fare in anticipo, a scatola chiusa, affidandosi alla “promessa di valore” che gli trasferiamo tramite la nostra narrazione. Selezionare gli elementi più importanti, le leve da utilizzare per guadagnarsi la fiducia altrui è di fatto la sfida del Personal Branding.
Senza dimenticare che secondo Nielsen il 92% delle persone si fida delle opinioni di altri individui (pur non conoscendoIi) a discapito dei brand.
Perché la fiducia oggi è ancora più importante?
Approfondiamo prima di tutto il concetto dal punto di vista delle scienze sociali. Secondo Eloi Laurent, economista francese e ricercatore,
la fiducia è un’aspettativa di affidabilità nei comportamenti, che implica un rapporto con un altro essere umano, all’interno di una situazione incerta, con uno scopo e un contesto di riferimento ben preciso.
Se consideriamo invece il pensiero di Antonio Mutti, la fiducia si definisce come
un’aspettativa di esperienze con valenza positiva per l’attore, maturata sotto condizioni di incertezza, ma in presenza di un carico cognitivo e/o emotivo tale da permettere di superare la soglia della mera speranza.
Il politologo americano Robert Putnam ha dedicato diversi scritti all’argomento, specie in relazione alle fondamenta dei sistemi democratici. In particolare, secondo questo studioso la fiducia è un prerequisito della conservazione nel corso del tempo delle stesse relazioni sociali. Simile la concezione che presenta il futurologo Francis Fukuyama, secondo il quale si tratta di una virtù sociale che contribuirebbe a ridurre i costi di transazione e ad agevolare la prosperità dei rapporti economici.
Detto in parole più semplici, le persone fanno business fra loro solo sulla base della fiducia. Business della natura più diversa: può trattarsi di vendere, di fare acquisti, di attrarre nuovo personale o motivarlo e farlo lavorare meglio in gruppi, di comunicare un nuovo prodotto. Compito di chi guida un’azienda (un CEO, un imprenditore o un top executive) o una funzione (un direttore delle risorse umane, marketing o commerciale) è pertanto quello di generare e massimizzare la fiducia fra gli stakeholder, proprio perché è alla base dei rapporti di affari e delle dinamiche professionali.
Gli stakeholder dal canto loro altro non sono che persone, così come i collaboratori: il Personal Branding può aiutare anche in questo. Gli autori citati sopra focalizzavano l’attenzione sulla fiducia generalizzata, elemento proprio della vita in società: a maggior ragione questo discorso vale per quella più specificamente interpersonale, che abilita e in particolare oggi rende funzionanti le piattaforme di condivisione più in voga negli ultimissimi anni.
Con l’esplosione della platform economy si sono fatte più fitte anche le ricerche sulle economie della fiducia, di cui Airbnb, Uber e tutti i servizi di sharing come BikeMi o Car2Go sono stati grandi acceleratori. Un fenomeno simile riguarda i lavoratori autonomi, ben descritto nel Rapporto annuale dell’Istat:
Le reti di scambio, condivisione e cooperazione, che differiscono per contenuti e intensità, mettono infatti a disposizione dei soggetti che ne fanno parte un ventaglio di risorse esteso: informazioni e relazioni di reciprocità che favoriscono la fiducia, il mutuo appoggio, la reputazione sia interna sia esterna al gruppo. […] Strettamente legato al concetto di rete è quello di capitale sociale, inteso come il precipitato di strategie di investimento orientate alla costituzione e riproduzione di relazioni sociali durature, capaci nel tempo di creare valore materiale e simbolico.
E ancora:
Dal Rapporto emerge poi chiaramente il valore per le persone dell’appartenenza a più reti, al di là di quella di parentela, con un ruolo sempre più rilevante della rete elettiva, sia nel sostegno e nella risposta ai propri bisogni e necessità, sia per lo sviluppo dei propri interessi e l’arricchimento culturale. L’ampiezza e la varietà delle reti in cui si è inseriti testimonia e spinge a una maggiore fiducia verso gli altri con risvolti positivi per la società nel suo complesso.
Le reti di relazione, qualunque sia l’ambito in cui vengono osservate, non comportano soltanto vantaggi isolati, ma si cumulano e si agglomerano, tanto che è possibile parlare di un potere moltiplicatore delle reti e di reti al quadrato o al cubo. I vantaggi delle risorse relazionali si estendono oltre i confini dell’individuo e della sua famiglia, stimolano il senso di appartenenza, promuovono il senso civico e favoriscono la fiducia interpersonale e verso le istituzioni, con effetti importanti sulla società nel suo complesso.
Ma in termini più terra terra “che cos’è la fiducia, se non il contrario del sospetto? Quando ti fidi di una persona, credi nelle sue capacità e nella sua integrità morale. Quando invece non ti fidi, nutri dei sospetti, sulle loro competenze, sulla loro etica e persino sui loro risultati. Ciascuno di noi, nella nostra esperienza, sa bene quale sia la differenza tra relazioni fondate sulla fiducia e quelle che non lo sono. E quell’esperienza ci dice chiaramente che non si tratta di un distinguo sottile, ma di un divario enorme”.
Facciamo un esempio
Per esemplificare ora il concetto, vediamo ora a un esempio molto semplice, una situazione davvero comune. Pensate a quando scegliete un buon vino in un negozio: da cosa siete attratti? Di certo, l’etichetta e il suo design contano (così come
il modo in cui ci presentiamo, il nostro stile e anche le apparenze). Ma ha una sua rilevanza anche la posizione della bottiglia sullo scaffale (il biglietto da visita che porgiamo al nostro interlocutore), il prezzo (se siamo di alta gamma o di
fascia bassa), come si distingue rispetto alla concorrenza (i nostri elementi di differenziazione).
Quel che è certo è che la cosa più importante, il sapore e la qualità di quella bottiglia, sono impossibili da conoscere a priori con certezza: per scegliere una bottiglia di vino dobbiamo fidarci in anticipo. E talvolta anche dopo averla assaggiata fatichiamo a percepirne la reale qualità. Sono noti i risultati ambivalenti dei test alla cieca sul vino: anche il sommelier più sofisticato può incorrere in errori marchiani. E non è raro che l’etichetta ci tragga in inganno, facendoci sovra o sottostimare il valore del singolo prodotto.
Ecco, come quella bottiglia di vino sullo scaffale, abbiamo bisogno di far conoscere il nostro valore in anticipo ai nostri potenziali interlocutori rilevanti prima che debbano sceglierci o vogliano avere a che fare con noi; parliamo di interlocutori che si trovano spesso a dover fare una selezione tra molte opzioni teoricamente equivalenti.
Un po’ di letteratura
Ritroviamo questi concetti anche nella letteratura accademica. Per alcuni sociologi, la fiducia è un’attribuzione di responsabilità che richiede tempo: come afferma Nicklas Luhman,
Chi dimostra fiducia, in un certo senso, anticipa il futuro e agisce come se fosse sicuro del futuro.
La fiducia si sedimenta e si nutre del tempo, poiché non è mai qualcosa di immediato, non vive nell’istante in cui essa viene attribuita, ma costruisce un legame grazie a una serie di azioni di risposta che avvengono nel tempo. Pertanto, la fiducia
non ha valore in sé, ma si costruisce nel momento in cui si trova a interagire con un’alterità, che si rivela ambito d’azione essenziale.
L’atto di attribuzione non si esaurisce quindi nel momento in cui si concede fiducia, ma va oltre, comprende la relazione, la dinamica e il contesto in cui questo si va configurando. Georg Simmel individua nella fiducia una specifica categoria d’analisi e la definisce come una delle forze di sintesi più importanti insite nella società: un potente vettore di aggregazione delle volontà individuali. Secondo Simmel, la fiducia è definibile come “un’ipotesi di comportamento futuro[….]. Essa rappresenta uno stadio intermedio tra conoscenza e ignoranza relativa all’uomo. Chi sa completamente non ha bisogno di fidarsi, chi non sa affatto non può ragionevolmente fidarsi”.
Quando difatti ci si trova nella situazione di dover chiedere (o ottenere) la fiducia, non si fa altro che mediare tra ciò che già si conosce e ciò che ancora si ignora di una specifica situazione. Continuando su questo filone, ma richiamandoci al tema della fiducia, alcuni autori ritengono che essa faccia leva su quattro caratteristiche:
- competenza (la capacità e l’idoneità nella trasmissione di valore);
- benevolenza (la disponibilità e la volontà di adoperarsi per raggiungere un obiettivo);
- integrità (l’adesione a una condotta etica e corretta per la circostanza considerata);
- prevedibilità (la possibilità di riuscire ad anticipare eventuali sviluppi futuri della situazione presa in esame).
Che la fiducia svolga un ruolo essenziale non lo sostiene soltanto l’accademia: lo dimostrano anche le ricerche di mercato.
Riporto qui un lungo brano tratto da un testo di Barbara Kahn (Global Brand Power: Leveraging Branding for Long-Term Growth, edito da Wharton Digital Press):
Oltre a reagire emotivamente ai brand, i consumatori in genere devono fidarsi di un brand per acquistare uno dei suoi prodotti. Un recente studio di BAV Consulting, un gruppo che sta conducendo una delle più ampie ricerche al mondo sul brand ed è una business unit del Gruppo WPP, ha scoperto che la fiducia è diventata ancora più importante dalla crisi finanziaria globale del 2008. All’inizio del secolo attuale, le indagini hanno dimostrato che le persone si fidavano di quasi la metà di tutti i brand. Nel 2009 questo numero era quasi dimezzato, dal 49% al 25%. I brand bancari, assicurativi e dei servizi finanziari sono stati particolarmente colpiti, ma la fiducia è diminuita in tutti i settori. […]
Secondo BAV, la fiducia è ora “the new black”, il grande differenziatore. I dati BAV mostrano anche che uno dei principali fattori di affidabilità dei marchi dal 2009 è quanto sono raccomandati dai clienti. I messaggi di trasmissione tradizionali emanati dal brand sono molto meno efficaci nell’instaurare la fiducia rispetto all’approvazione da parte di un amico sul suo profilo social.
Mettere un tag di Facebook sul tuo messaggio indica che sei disposto ad avere altri nel mondo dei social media per discutere del tuo marchio e messaggio, e questo trasmette implicita trasparenza e ispira un contratto sociale. Pertanto, il tag Facebook o Twitter diventa un badge che sembra garantire e simboleggiare la fiducia. Presumibilmente, un brand disonesto non potrebbe reggere il confronto nel mondo dei social media. Come per tutto nell’universo del brand, anche la fiducia deve continuare ad essere guadagnata.
Nel database BAV è evidente che la crescente arroganza, se continuata senza freni, dei brand Apple, Facebook e Google potrebbe minacciare l’ampia fiducia di cui godono […]. Usando i termini di BAV, le aziende dovrebbero pensare ai “social come modello di business”.
Cosa c’entra il Personal Branding?
Come abbiamo detto sopra, il Brand funge da device capace di influenzare e di superare le incertezze. La stessa cosa vale per il Personal Brand. Quando siamo sovrastati da notizie ambigue e contrastanti, ovvero quando siamo vittime di overload informativo, abbiamo bisogno di quelle che la psicologia cognitiva chiama “scorciatoie informative”, segnali che ci aiutano nel decodificare i messaggi e nel compiere delle scelte.
Le persone, dice la ricerca di BAV Consulting, si fidano delle persone.
Ecco perché occorre fare Personal Branding delle persone nelle aziende e occorre investire sulla loro immagine personale come fattore ulteriore di generazione della fiducia.
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La foto è di Bernard Hermant su Unsplash