Oggi si parla sempre di più di CEO Branding, Social Leadership, Social CEO, CEO Activist e Executive Branding. Sono tutti la stessa cosa? No. In realtà un CEO Brand è qualcosa di molto più specifico e strategico del concetto Social CEO, anche se quest’ultimo è per molti già un notevole punto di arrivo.
Quando pensiamo alla performance di un’azienda, non dobbiamo soffermarci solo su criteri classici quali il profitto o il valore delle azioni. Se questi sono evidentemente dati fondamentali, altrettanto significativa è la fiducia e il rispetto che è in grado di suscitare presso i suoi stakeholder di riferimento, a volte anche presso gli analisti e la comunità finanziaria.
Quando diciamo che ogni singolo dipendente parla per tutta l’azienda, possiamo iniziare proprio da quello potenzialmente più spendibile a livello di comunicazione. Viene da sè, a quel punto, che bisogna curare il suo Personal Branding. Se consideriamo l’azienda come una nave, sicuramente possiamo assimilare il/la CEO (o comunque alcuni dei c-level, executive o il top management), che la guida e ne può rappresentare l’identità più umana.
La chiarezza della propria strategia, un certo modo di prendere decisioni o assumersi rischi, la bravura e autorevolezza, la credibilità, la sua storia, visione e la capacità di influenzare e ispirare i pubblici possono essere determinanti.
Come mai oggi si parla di CEO Branding?
Quando ci si focalizza sul/sulla leader di un’organizzazione, si parla specificamente di CEO branding, ovvero del processo per consolidare visione, missione e posizionamento dell’azienda attraverso l’identità, i valori e la personalità di chi la guida. Il CEO Branding è un tema complesso che coinvolge tematiche legate all’organizzazione, la corporate strategy, le pubbliche relazioni, il lobbying, la leadership interna e il Branding in generale.
Vi sono alcuni aspetti, trend e fattori che hanno contribuito al fenomeno del CEO branding:
1. La disponibilità di strumenti che di fatto eludono i media e tutti i gatekeeper tradizionali. A volte può succedere anche al contrario! Basti pensare a quello che accade ogni volta che Elon Musk, CEO di Tesla, twitta qualcosa. Si dice che il tweet qui sotto e il precedente (eliminato, in cui Musk affermava che il valore in borsa di Tesla fosse troppo alto) siano costati circa 14 miliardi in termini di capitalizzazione.
I am selling almost all physical possessions. Will own no house.
— Elon Musk (@elonmusk) May 1, 2020
2. La crescente tendenza a voler comunicare direttamente con le persone e a fidarsi delle persone e non delle aziende, soprattutto sui canali digitali, dove risulta molto impersonale
3. L’aumentata sensibilità da parte dell’opinione pubblica rispetto ai temi caldi dei nostri giorni (inquinamento e surriscaldamento, diversità ed equality, differenze sociali ecc.). Weber Shandwick ha dedicato una sezione intera del suo sito all’attivismo in azienda. Tra le varie ricerche e studi presenti sul sito, ecco un esempio di qualche anno fa: nel 2004, Marilyn Carlson Nelson, CEO della società di viaggi Carlson Companies, si schierò direttamente contro il traffico di esseri umani. I colleghi di lavoro la misero in guardia contro questa posizione, perché la Carlson Companies di fatto operava “nel settore della felicità”. Nelson, tuttavia, persistette. Sosteneva che le risorse di Carlson dovessero essere utilizzate per combattere il traffico di bambini e che la “cospirazione del silenzio” dovesse essere infranta. Secondo lei le aziende dovevano essere responsabili anche su questioni che non riguardano direttamente quello di cui si occupano.
4. Il rispetto e la fiducia, per le corporate, che crollano, soprattutto a valle della scorsa crisi finanziaria. Lo stesso vale per i leader aziendali, spesso criticati per gli enormi compensi che ricevono, anche quando le ricadute del loro lavoro sulla società non vengono sempre percepite come positive.
Per tutti questi motivi sempre più CEO hanno trovato nuovi spazi e strumenti per cogliere nuove opportunità per le loro organizzazioni. In molti hanno abbracciato comportamenti “social”, fino a implementare vere e proprie strategie sofisticate di CEO branding.
Come sostiene lo studioso İlkay Karaduman in un saggio, “è un periodo ideale per reinventare la leadership moderna. Il ruolo dei top executive si è evoluto ed è diventato più visibile, social, connesso e accessibile che mai. L’ambiente competitivo si è a sua volta trasformato, e i clienti, gli investitori e gli stakeholder si aspettano di avere accesso in modo costante agli insight e alla visione dei leader che rappresentano i brand”.
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I principali obiettivi del CEO branding
Il CEO Branding ha diverse applicazioni e può avere tre principali risvolti aziendali: publicity, leadership e Branding “aziendale”.
Ma prima di parlare di obiettivi occorre definire i vari pubblici che sono coinvolti nell’attività di CEO branding, in linea con quelli classici della corporate communication. Principalmente sono i collaboratori, i clienti e tutti coloro che li influenzano in qualche modo. In contesti più complessi ovviamente possono essere coinvolti altri stakeholder, tra cui per esempio autorità pubbliche e azionisti.
Il/la leader può infatti trovarsi ad affrontare diverse problematiche in relazione alla sua figura. Può essere molto competente, ma avere poco carisma. Può avere una scarsa riconoscibilità, può essere percepito come molto “aziendalese” e poco interessante di per sé. Può avere una visione troppo autoriferita ed egocentrica, con problemi di autopercezione e autoconsapevolezza.
Può ignorare completamente l’utilizzo dei social media per incompetenza, inapplicabilità rispetto al tema aziendale o attitudine personale. Per il tipo di percorso professionale fatto, potrebbe avere qualche “scheletro” nell’armadio, magari neanche troppo nascosto. Può avere il desiderio di cambiare lavoro, così come di impostare diversamente le relazioni con il suo staff, gestendo la complessità delle cordate interne.

Ha bisogno continuamente di ristabilire le sue priorità, capire come filtrare le opportunità mediatiche, sapere quando è il caso di dire di no. Ha – molto più dei suoi collaboratori – la necessità di gestire in modo oculato la propria vita privata a livello di immagine, affinché non risulti confliggente con la sua leadership.
Secondo Peter Aceto, CEO, ex CEO di Tangerine/IngDirect Canada e ora CEO di CannTrust9o intervistato da Carmine Gallo di Forbes, “i leader di successo non verranno più misurati solamente sulla base del valore della singola azione. Saper gestire e comunicare con gli shareholder, con i dipendenti, con i governi, le comunità e i clienti saranno fattori indispensabili in futuro. Stanno in ogni caso già parlando della vostra azienda. Perché non entrare a fare parte della conversazione?”
Publicity
E qui veniamo alla prima applicazione del CEO Branding, quella ai fini della publicity, nello specifico quando una notizia relativa a un’azienda o a un prodotto viene ripresa gratuitamente dai mass media, per esempio attraverso le conferenze o i comunicati stampa o le interviste. La publicity è essenziale nelle pubbliche relazioni, perché consente di far conoscere il brand dell’organizzazione, avere visibilità, farsi un nome. Proprio per questo, un CEO può svolgere un ruolo chiave, perché la sua credibilità e immagine verranno trasferite all’immagine che le persone hanno dell’azienda o dei suoi prodotti.
“Ho imparato che esiste un ciclo virtuoso legato alla trasparenza e uno decisamente vizioso legato all’offuscamento”, ha affermato l’ex CEO di LinkedIn, Jeff Weiner, Nel suo Executive Playbook, scaricabile gratuitamente qui.
Leadership
Altrettanto importante è la seconda applicazione del CEO branding, quella ai fini della leadership. Vale a dire, come strumento di comunicazione interna. L’idea è quella di tradurre le strategie delle stanze dei bottoni in messaggi veicolati e agiti da tutta l’organizzazione. È ciò che consente di passare dalla teoria alla pratica, la base per ogni progetto di change management: la corretta “cascata informativa” che parte dai vertici aziendali, passa dal middle management e arriva (sperabilmente) agli esecutori.
Anche qui, la fiducia è essenziale e specie nelle organizzazioni molto strutturate e di portata globale coltivarla non è banale. Secondo uno studio effettuato in Irlanda dall’agenzia PR360 l’82% dei dipendenti ritiene molto importante la comunicazione con il proprio CEO, e il 70% afferma di sentirsi più valorizzato quando non viene escluso dal loop informativo.
Come ricorda l’ex CEO di Charles Schwab David Pottruck: “Migliaia di collaboratori mi conoscono solo attraverso la mia reputazione, quindi per me la reputazione è tutto, in senso letterale”. Per approfondire consigliamo di leggere questo White Paper del Bailey Group.
Branding
Infine, un altro dei principali benefici del CEO Branding è quello più ovvio, legato alla notorietà e al posizionamento del Brand dell’organizzazione che guida, anche in ottica Employer Branding. Infatti l’immagine di un amministratore delegato non influisce solo sulla salute del brand, ma è importante anche per attrarre i migliori talenti. Per approfondire, ancora su Forbes leggete “Does your CEO Have a Personal Brand? If Not, It Could Be Affecting Your Bottom Line”.
“Le persone vogliono lavorare con leader che siano accessibili. Già nel 2012, un sondaggio BrandFog ha rilevato che il 78% delle persone preferisce lavorare per una società la cui leadership è attiva sui social media, mentre una ricerca Edelman indica il payoff di farlo, con il 75% dei CEO meglio classificati su Glassdoor grazie al loro utilizzo dei canali social.”
Anche per i Top Manager: Executive Branding
Così come il CEO, anche i top manager sono importanti rappresentanti dei brand, dato che il loro ruolo in azienda comporta una forte visibilità e spesso le loro parole sono considerate alla stregua di comunicazioni ufficiali.
La diversità delle loro funzioni e aree di competenza in azienda (commerciale, amministrativa, risorse umane, marketing ecc.) offre un’opportunità per veicolare il posizionamento e i valori dell’azienda con voci e prospettive differenti, più personali e fruibili rispetto a quanto spesso è concesso al CEO. Un Executive inoltre può focalizzarsi su pubblici particolari, più specifici o tecnici e decidere se rivolgersi ai clienti o a influencer del settore o relativi all’ambito della funzione che rappresentano.
Essere in grado di rappresentare la voce del proprio settore e costruire contenuti rilevanti è ciò che fa la differenza. I migliori dirigenti sfruttano l’opportunità che offrono le piattaforme social di un canale di comunicazione personale e diretto tra loro e il resto del mondo, compresi giornalisti, parti interessate e clienti, permettendo a tutti di seguire le vicende in tempo reale. Attraverso l’attività editoriale, vale a dire i post che pubblicano, possono dimostrare la loro leadership, fare vedere quanto l’azienda sia innovativa e abbia – grazie a loro – un volto umano.
Un buon punto di partenza è crearsi un profilo LinkedIn efficace (magari usando il nostro Linkedin Canvas?) senza fare spam di inviti e coltivando il network creato. Non entriamo in tecnicismi in questa fase, ma sappiate che PersonalBranding.it – il progettodi Brand Content sul tema di BigName – ha una gran quantità di materiale a riguardo.
Chiedete aiuto agli esperti
Molti ci chiedono formazione per i loro CEO ed Executive. Qualche ora di “envisioning” sul tema. La formazione aiuta lo sviluppo delle competenze e del knowhow necessari, ma anche questa da sola non è sufficiente. Per compiere una trasformazione vera e propria è necessaria una progettualità specifica, con diversi compiti, attività e fasi di lavoro. Ecco quindi che può risultare più fruttuoso rivolgersi ad agenzie specializzate o aziende che fanno consulenze in questo ambito, con le metodologie più indicate e non si curano solo degli aspetti meramente formativi o legati allla sola comunicazione digitale.
In un piano di Personal Branding la progettualità si avvale di metodi come il design thinking e di strumenti visuali. Mentre il primo funge da paradigma concettuale utile per muoversi in ambienti ambigui e complessi, i secondi permettono una maggiore presa dei concetti nelle persone che se ne servono e velocizzano notevolmente il processo.
Non ci stanchiamo di ripetere che il Personal Branding è una strategia: a seconda del target si possono attivare maggiori o minori risorse. Da parte nostra, ci auguriamo di avere fatto un po’ di chiarezza rispetto a come possa essere utile per raggiungere i vostri obiettivi aziendali, valorizzando le vostre figure chiave.
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