Nell’epoca social le persone costituiscono uno dei punti di contatto più importanti per far percepire l’azienda nella maniera corretta: la cultura, il modo di lavorare, le prospettive di carriera, l’impegno sociale, le competenze diffuse, la visione sul settore.
Vi sarà capitato certamente di consultare un profilo LinkedIn e di trovarlo in qualche modo stonato rispetto all’idea che avevate dall’azienda rappresentata da quella persona. Magari account incompleti, sciatti, dove viene restituita un’immagine del datore molto diversa da quella reale. O, almeno, da quella che chi il Marketing e/o la Comunicazione vorrebbe trasmettere.
In questi casi, può essere estremamente importante per l’azienda poter fare leva sui profili e i contenuti creati e diffusi dalle persone per dare vita a un’immagine coerente e mantenerla nel tempo. L’immagine di un’organizzazione passa prima di tutto per quella dei suoi collaboratori. Questi ultimi possono fungere da punti di contatto dell’identità sia del brand che dell’organizzazione. In quanto portavoce a tutti gli effetti, sono anche i primi a veicolarne la comunicazione verso l’esterno, con l’effetto amplificatore dei Social. L’unico modo per ottenere (e mantenere) risultati nel tempo è lavorare in maniera coerente e propedeutica all’immagine che desideriamo comunicare. Ad avere una forte responsabilità del brand di un’azienda non è solo il team che se ne occupa formalmente, ma anche chi guida l’azienda ai massimi livelli.
Questo è il tipo di applicazione più diffuso del Personal Branding in ottica sviluppo immagine aziendale e viene denominato sviluppo dei Brand Ambassador o dell’Employee Advocacy.
Vediamo di seguito due tipologie di applicazione meno diffuse ma molto moderne e sempre più richieste dal mercato…
Personal Branding e Corporate Reputation
La pratica della Corporate Reputation è più attuale che mai nel contesto attuale. Quanto più un’organizzazione saprà soddisfare le aspettative dei propri stakeholder, tanto maggiore sarà la sua reputazione. È il frutto di una serie di azioni compiute nel tempo da parte dell’organizzazione, e di come queste vengono ricevute e percepite da parte di chi è portatore di un interesse. Non è detto che la Corporate Reputation sia sempre priva di ambiguità: per esempio, un’azienda può fare benissimo gli interessi dei propri azionisti, ed essere mal vista dai consumatori o dai media, con importanti conseguenze sul lungo periodo.
Consapevoli della necessità di preservare la propria reputazione anche in ottica di business, sono state numerosissime le aziende che negli ultimi due decenni hanno cercato di tenere in considerazione gli impatti del godere o meno di un “buon nome”.
In primis, possiamo ricordare tutti gli sforzi compiuti nel dare conto del proprio operato, per esempio attraverso la redazione di bilanci sociali, la costituzione di fondazioni e l’adozione di buone pratiche in ambito di Corporate Social Responsibility. Nel libro verde pubblicato dalla Commissione Europea nel 2001, la CSR viene definita come “integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Oggi è diventato un pilastro della gestione del Brand e delle relative conversazioni “Social”.
Personal Branding applicato a testimonial e influencer in ottica reputazionale
Storicamente, le aziende si sono avvalse di testimonial per promuovere il proprio brand. Quello che diventa più interessante è il fatto che ora li utilizzano anche per dare visibilità ai propri valori. Nello specifico, collaborano con persone dalle storie di vita eccezionali per poter al contempo parlare di brand e di impatto sulla società.
Pensiamo a Bebe Vio, la campionessa paraolimpica scelta come volto e immagine della comunicazione di Sorgenia fino al 2020. Secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato della società, Gianfilippo Mancini, “alla base di questo accordo c’è una comunanza di valori con Bebe Vio, una visione comune sintetizzata nel claim della prima campagna ‘Non conta quanto è difficile la sfida, conta l’energia che ci metti’”.
Non è un caso che la collaborazione con Bebe Vio abbia dato forti benefici a Sorgenia, specialmente in riferimento agli indicatori di reputazione del brand”, come ha sostenuto in un’intervista Simone Lo Nostro, Market & ICT Director di Sorgenia.
Quel che più conta per il mantenimento della corporate reputation nel tempo è quanto l’impresa sia in grado di allineare in maniera coerente comportamenti e azioni rispetto alle aspettative dei propri stakeholder.
Personal Branding applicato alla reputazione del management
La difesa della reputazione di un’azienda passa anche da quello del proprio management. Non si tratta solo di fare CEO Branding, ma anche di sviluppare il percepito reputazionale dei leader.
Stando ai dati emersi dalla ricerca The CEO Reputation Premium, condotta da Weber Shandwick in collaborazione con KRC Research, i dirigenti intervistati attribuiscono in media il 45% della reputazione della propria azienda e in media il 44% del valore di mercato della propria azienda alla reputazione del proprio CEO.
Dunque, lo studio rende chiaro come il rapporto tra reputazione del CEO e corporate reputation sia particolarmente importante: la prima può incidere non solo sulla percezione del brand da parte dei clienti e altri stakeholder, ma può avere conseguenze all’interno dell’azienda: non a caso per l’80% degli stakeholder la reputazione del CEO condizionerebbe la decisione di consigliare o meno un’azienda come un buon posto per lavorare.
Un’ultima considerazione, che riguarda la comunicazione di crisi. Il crisis management rappresenta una delle sfide più importanti per chi in azienda si occupa di marketing e comunicazione. Negli ultimi tempi si è reso sempre più evidente che potesse essere risolutivo far leva sui dipendenti presenti in maniera chiara sui social per gestire la comunicazione con i pubblici durante momenti di crisi.
Pensiamo alla Pasta Rummo, il cui stabilimento produttivo venne travolto da un’alluvione nel 2015. La narrazione dei fatti in quel caso è ruotata tutta attorno agli operai, rimasti intrappolati dentro alla fabbrica prima e al lavoro senza sosta i giorni successivi per salvare i prodotti. Nel frattempo, online si scatenava una campagna a sostegno del brand (tra i post più ripresi e commentati su Facebook c’era proprio quello della figlia di uno dei dipendenti della Rummo).
Il fenomeno del “workers buyout”, che rappresenta la realtà per quelle centinaia di imprese in crisi acquisite dai loro stessi lavoratori. In questo caso, il fatto stesso che chi lavorava in una certa organizzazione avesse così tanto a cuore la sua rinascita è un fantastico elemento di differenziazione del brand in un momento di (post) crisi. Altrettanto emblematico – e ben memorizzato nella mente dei consumatori – il caso di Melegatti.
Se la storica azienda veronese ha potuto – dopo il fallimento e la riacquisizione – ricominciare a sfornare i tradizionali pandori, è infatti anche merito di due dipendenti che, senza percepire stipendio, in tutti quei mesi hanno lavorato ogni giorno per mantenere in vita il prezioso lievito madre. Uno storytelling autentico, intriso di valori ed efficace, cavalcato nel periodo natalizio godendo di ottima (e gratuita) copertura da parte della stampa.
Il Personal Branding come Brand Content
Con Brand Content intendiamo l’attività di Strategic Brand Management in cui ilBbrand di fatto è un editore di contenuti e iniziative di coinvolgimento diretto del proprio pubblico. Non va confuso con il Branded Content, di fatto un’estensione delle sponsorizzazioni, e nasce probabilmente nel 1900 con l’uscita delle prime 2.400 copie della Guida Michelin!
Il Personal Branding può essere considerato un’attività di Brand Content nella misura in cui diventa un contenuto originato dalla marca e si rende utile in qualche modo al proprio “pubblico”.
Vediamo due esempi a supporto di questa applicazione, entrambi relativi alla realizzazione di eventi che puntano sul Personal Branding per apportare valore non solo per il brand in sé, quanto alla clientela dell’azienda, con ricadute positive per il business di entrambi. I casi in questione riguardano la COEM, azienda produttrice di ceramiche e una grande società di assicurazioni, Zurich.
Entrambe ci hanno coinvolto per puntare sulla valorizzazione del Personal Branding dei loro clienti per veicolare contenuti di qualità e rafforzare la relazione con loro, in modo da essere considerati dei veri e propri partner chiave. Del resto cosa si può fare di meglio per fidelizzare i propri clienti se non supportarli per avere ancora più successo nel loro lavoro?
La modalità scelta è stata quella di organizzare un ciclo di eventi esclusivi e utili per il proprio pubblico di riferimento, tipicamente i clienti.
Nel caso dell’azienda emiliana si è quindi organizzato un evento sul Personal Branding Canvas dedicato agli architetti, loro stakeholder principale, ultimamente sempre sotto pressione a livello professionale a causa di un inadeguato posizionamento sul mercato. COEM ha proposto loro un seminario gratuito all’interno di un ciclo che li aiutasse a superare questo scoglio, facendo percepire l’azienda come un alleato indispensabile per il proprio business.
Il target di Zurich era costituito dai consulenti finanziari, tipicamente loro clienti, a cui è stata offerta l’opportunità di seguire degli eventi in esclusiva a Milano e Roma sul futuro della consulenza finanziaria. È stato loro spiegato quanto sia importante avere un proprio modello di business al fine di stabilire una relazione di lungo periodo con i clienti, anche con il supporto teorico di accademici di altissimo livello quali il professor Mario Noera e la professoressa Barbara Alemanni della Bocconi. Oltre a dare rilievo a strumenti, insight, idee che venissero loro in soccorso per meglio interpretare lo scenario in cui operavano, è stata data loro la possibilità di ragionare e far evolvere la propria specifica professionalità.
Un brand content che è diventato di fatto una vera e propria iniziativa di empowerment!
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