Non esiste molta letteratura accademica specifica sul Personal Branding, ma cerchiamo di raccogliere un po’ di citazioni e voci autorevoli.
Opinioni molto diffuse
Come ha sintetizzato Alison Hearn, moltissimi sono concordi nell’affermare che
“la letteratura di marketing contemporanea identifica la costruzione delle branded personae come qualcosa di centrale nei processi di negoziazione in ambienti aziendali sempre più complessi”
O ancora
“La pratica del self branding è chiaramente esplicitata e delineata nell’attuale letteratura manageriale come una strategia necessaria per il successo in un mondo aziendale sempre più complesso”.
Da parte nostra, dobbiamo dissentire. Come abbiamo chiarito fino a ora il Personal Branding non è self packaging, una finta per dare una falsa idea di sé, atteggiamento che non vale più neanche per il branding in generale.
Come afferma Seth Godin, occorre “proporre una storia credibile, autorevole, onesta, coerente. Una storia che non è per tutti. L’incessante ricerca del consenso del pubblico di massa rende noiosi perché implica operare nella media, al centro della curva. E questo richiede di non offendere nessuno e di soddisfare tutti, conducendo a compromessi e generalizzazioni. Oggi occorre concentrarsi nel creare un mercato, anche muovendosi su una piccola scala”.
Il Personal Branding va inteso non come un metodo per vendersi meglio, ma come uno strumento agile per farsi comprare meglio in questo mondo ricco di messaggi contraddittori e di incertezze, dove regnano il cambiamento e la complessità. Ci sono però anche molti testi e articoli volti a mettere in forte discussione, se non addirittura screditare il Personal Branding.
Le critiche più frequenti al Personal Branding
È interessante notare come anche “parlare male” del Personal Branding possa essere una forma di Personal Branding e posizionamento. Secondo vari autori, quello che Anthony Giddens definiva come il progetto riflessivo del sé è diventato “una forma esplicita di lavoro nel capitalismo post fordista, nella forma del self branding. Qui, lavorare sul sé è deliberato ed eterodiretto, la produzione del sé è pesantemente narrata e marcata attraverso i codici visuali dell’industria culturale mainstream”.
Ecco perché per una certa letteratura critica “tali forme di self branding […] spiegano bene l’erosione di una qualsivoglia distinzione sensata tra le nozioni di self e i processi capitalistici di produzione e consumo”.
“In un mondo segnato da una crescente flessibilità, il branding lavora per risolvere, anche se temporaneamente e a titolo indicativo, i significati culturali intorno al consumo.”
Sono due le critiche principali che vengono rivolte ai guru di questo approccio strategico.
In primis, si contesta la superficialità dell’approccio, che parrebbe orientato al semplice “make up” del proprio profilo professionale, senza la dovuta attenzione né alle complesse dinamiche identitarie che ciò implica né alle competenze costituenti la professionalità in sé. In altre parole, si contesta al Personal Branding una concentrazione più sulla forma che sulla sostanza.
Continua Hearn:
“In quanto merce da vendere sul mercato del lavoro, il sé deve anche generare il suo proprio packaging, che sia persuasivo dal punto di vista retorico […] nell’ambito dell’immaginario aziendale dominante. Il self branding può essere considerato una forma di lavoro immateriale e affettivo che viene deliberatamente intrapreso dagli individui per guadagnare attenzione, reputazione e potenzialmente profitto. […] Il self branding è una funzione dell’economia dell’immagine, dove l’attenzione è monetizzata e la notorietà, o fama, diventa capitale”.
(Per leggere l’articolo originale Structuring feeling: Web 2.0, online ranking and rating, and the digital ‘reputation’ economy, “Ephemera: Theory and Politics in Organization”)
A questa obiezione possiamo rispondere con due argomentazioni:
- La prima è riaffermare con forza che in un mercato (quale è quello del lavoro) ha senso applicare logiche di mercato, per l’appunto. Esistono più motivi teorici e contingenti per ritenere il Personal Branding una strategia professionale immancabile, se si vuole lavorare bene. Molti di questi li potete trovare proprio sul nostro sito o nelle varie pubblicazioni cui abbiamo partecipato;
- In seconda battuta c’è da dire che l’orientamento che sposiamo noi è tutt’altro che superficiale. Viceversa, invitiamo chi ci chiede aiuto a fare un’autoanalisi approfondita e a concentrarsi sui valori che meglio li rappresentano e che possono veicolare con maggiore efficacia. Abbiamo addirittura elaborato degli strumenti visuali per agevolare questo processo! Del resto il branding coincide con lo specifico sistema di valori condiviso con il proprio pubblico.
In seconda istanza, si critica il fatto che il Personal Branding sia solamente un sottoprodotto della cultura capitalista americana, dove prevalgono un approccio imprenditoriale che vede l’autodeterminazione del singolo e logiche di marketing applicate alle persone.
Prendiamo spunto ancora una volta da Alison Hearn per darne un esempio:
“Le attuali declinazioni di self branding sono il prodotto di un’economia e cultura dell’Occidente volte a innovazione e flessibilità costanti. Proseguire la produzione di un sé brandizzato comporta la creazione di un oggetto, un’immagine o una narrazione staccabile, vendibile, che diffonde efficacemente significati di tipo culturale”.
(“Variations On The Brand Itself: Theme, Invention, Improvisation And Inventory”, in Hesmondhalgh D., Toynbee J. (ed.), The Media and Social Theory, Taylor and Francis e-library)
In realtà è diverso
Dal punto di vista socio-semiologico “il branded self è il segno di una merce; è un’entità che funziona di per sé e, allo stesso tempo, rimanda a se stesso lavorando, sforzandosi di incarnare i valori del suo ambiente di lavoro”.
Interessante anche la proposta teorica che possiamo trovare in uno dei saggi di Hearn, cioè considerare il Personal Branding come un vero e proprio lavoro: “Il fenomeno del self branding può essere inteso come lavoro nella sua accezione più semplice come un ‘processo attraverso cui le persone trasformano la natura in oggetti della loro immaginazione’ (Burawoy, 1979). In effetti, la produzione di sé deve sempre implicare una qualche forma di lavoro per creare un personaggio pubblico, che sia di uso pratico o relazionale”.
Lavoro, e non potremmo essere più d’accordo, che prevede anche una fase di verifica della performance. Secondo Gehl, McNally e Speak a Rein:
Il Personal Branding rappresenta una serie di investimenti fatti da individui per migliorare la loro immagine pubblica. La notorietà e l’identificazione possono essere una misura del successo, sotto forma di credenziali, il brand personale fornisce credibilità immediata e status per i suoi titolari, portando ad avere relazioni di successo, massimizzare la visibilità e una crescente popolarità.
(Khedher M., Personal Branding Phenomenon, “International Journal of Information, Business and Management”, vol. 6, n. 2, 2014, p. 36)
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