In tutto il mondo le aziende applicano da anni il Personal Branding per aumentare la valorizzazione dei propri collaboratori.
Un collaboratore che sa valorizzarsi acquisisce maggiore autostima, autoefficacia e autodeterminazione, attraverso cui si riesce a fare emergere risorse che non si pensava di avere e che permettono a ciascuno di noi di mettere in campo il proprio pieno potenziale. Come è risaputo si tratta di una dinamica estremamente importante, tanto a livello individuale quanto per gli effetti che può generare sul piano organizzativo. Una persona “empowered” è più responsabilizzata, energica, dedicata agli obiettivi e consapevole delle risorse e degli strumenti. Tale consapevolezza è rafforzata dall’applicazione del Personal Branding, che aiuta i collaboratori a prendere consapevolezza del loro valore e a comunicarlo con efficacia.
Quando parliamo di applicazione del Personal Branding in ambito valorizzazione delle persone, facciamo riferimento a quattro ambiti specifci:
- Talent development
- Diversity Management
- Employability
- Professional Development
1.Personal Branding e talenti
Tutte le aziende puntano sullo sviluppo dei migliori talenti allo scopo di raggiungere gli obiettivi aziendali in maniera più efficace e veloce, con una produttività più elevata. Occorre non solo capire come attrarre tali professionisti di alto livello, ma soprattutto come gestirli, come motivarli (per esempio con pacchetti retributivi competitivi, con soluzioni di welfare e sempre più con proposte di lavoro agile e a favore di un maggior bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa), come far sì che continuino a essere aggiornati, come misurarne la performance, come promuoverli e farli sviluppare professionalmente.
L’applicazione del Personal Branding in azienda viene qui in supporto delle direzioni HR e di formazione interna nella valorizzazione e nel posizionamento dei collaboratori ritenuti più strategici e a offrire del valore per motivarli, trasferendo loro competenze di career management tramite il Personal Branding.
In questo senso, è fondamentale riflettere su come la funzione HR possa intervenire efficacemente sullo sviluppo di carriera del singolo solo una volta che ha ottenuto consapevolezza dei temi legati all’autodeterminazione e all’identità professionale, oltre che del contratto psicologico che tiene uniti lavoratori e imprese. Se è in grado di trasmetterli in maniera efficace, saranno più elevate la motivazione e la retention in azienda di risorse chiave.
I dipendenti delle aziende che investono in iniziative legate al Personal Branding sono molto più propensi a sentirsi ottimisti rispetto al futuro della propria organizzazione (27%); hanno una permanenza più lunga in organico (20%) e tendono a credere che la loro azienda sia più competitiva (40%). Queste ed altre statistiche elaborate da Ryan Erskine.
Non dimentichiamoci che le aziende stanno vivendo un momento in cui devono trattenere i migliori nelle organizzazioni, valorizzarli ed ergerli possibilmente a role model, così che attraggano opportunità e nuove persone altrettanto valide. In questo senso, chi si occupa di risorse umane può trovare nel Personal Branding un efficace strumento di valorizzazione, per il bene tanto del singolo quanto dell’azienda nel suo complesso.
Nel 2013 Banca Popolare dell’Emilia Romagna ha sentito la necessità di alcuni cambiamenti radicali per garantire una crescita sostenibile dei ricavi e aumentare l’efficienza, così ha trasformato un insieme di piccole e medie banche territoriali governate da una capogruppo nel nuovo soggetto BPER Banca, rafforzando la sua posizione di sesto gruppo bancario italiano e diventando un player ancora più competitivo su scala nazionale.
Oltre all’evidente attività di rebranding, supportata anche da una incisiva social media strategy, ha fatto leva sul valore di BPER per rafforzare il posizionamento del brand fra clienti e dipendenti, identificando anche nuove modalità di gestione dei talenti interni, soprattutto in vista dei radicali cambiamenti in arrivo in ambito bancario.
È in questo contesto che Silvia Brandoli, referente della formazione per l’area manageriale-comportamentale di BPER Banca, ci ha chiesto di sviluppare un programma formativo incentrato sul Personal Branding e sui modelli di business personali, dedicato a collaboratori selezionati per supportarli ad autovalorizzarsi e a essere più agili nella gestione del loro lavoro e della loro carriera.
“Quello che più mi ha colpito dell’attività è che l’esigenza di fare Personal Branding è assolutamente trasversale a tutte le figure professionali in BPER. È stato illuminante assistere al momento esatto in cui i partecipanti prendevano consapevolezza del loro valore e della necessità di posizionarsi attivamente a vantaggio di se stessi e del loro lavoro”, afferma Silvia Brandoli.
2.Personal Branding per il diversity management
Concentriamoci adesso sul diversity management, che vede nella valorizzazione delle differenze un asset fondamentale. In questo senso faremo riferimento per esempio alle differenze di genere, di età, di orientamento sessuale, di provenienza geografica e di etnia.
Le aziende, anche le più piccole, vivono in un quadro globale contraddistinto da un ritmo molto accelerato di cambiamento, di instabilità geopolitica e volatilità economica. Proprio per questo, a risultare più competitivi sono i contesti che fanno leva sull’inclusione, sul mettere insieme talenti e competenze diverse, sul fare sistema e generare nuove idee più velocemente partendo da punti di vista differenti.
Secondo il Diversity Brand Index il 63% degli intervistati sceglie con convinzione o preferisce brand inclusivi. Fra i vantaggi per chi si impegna su diversity e inclusion ci sono l’aumento della fedeltà, l’incremento del passaparola positivo e il miglioramento della crescita aziendale.
Oltre a far convivere etica e business e contribuire a ridurre i fenomeni di discriminazione, si genera anche valore anche dal punto di vista strettamente HR. Secondo l’ultimo Global Recruiting Trends di LinkedIn, per le imprese del nostro Paese la priorità numero uno in assoluto è proprio la “diversity inclusion”. Per l’89% delle aziende la diversità, sia culturale che generazionale, rappresenta un fattore chiave per migliorare la propria cultura aziendale, mentre più del 60% la considera essenziale per aumentare le proprie performance finanziarie.
“In linea generale i cosiddetti ‘diverse team’ sono visti come più produttivi, innovativi e creativi rispetto agli altri; per contro ci sono ancora molte aziende che non riescono a raggiungere l’obiettivo di migliorare le proprie politiche legate a questo tema, spesso perché i responsabili HR non riescono a trovare abbastanza candidati di questo tipo in sede di colloquio (succede nel 38% dei casi campionati).”
Cresce il bisogno di sviluppare una cultura sempre più inclusiva e libera da pregiudizi di ogni genere, e non sono poche le corporation ad avere abbracciato questo approccio. Alcuni esempi:
Il gruppo assicurativo Aviva ha lanciato un progetto di parità di genere, offrendo a entrambi i genitori 11 mesi di congedo parentale. La farmaceutica Sanofi sostiene esplicitamente le donne nei loro percorsi di carriera, promuovendo la leadership femminile. Coca-Cola Italia utilizza lo sport come strumento di inclusione di persone con disabilità. Allianz proprio in Italia ha fatto partire un progetto pilota mondiale con l’assunzione di ipovedenti. Infine, è stato lanciato “Inclusive Mindset”, un programma che si occupa di promuovere l’inclusione lavorativa delle persone svantaggiate e a rischio discriminazione, come i rifugiati, promosso da Fondazione Sodalitas, Fondazione Adecco per le Pari Opportunità e Interaction Farm.
O ancora, un caso che abbiamo seguito da vicino: IBM Italia si pone da anni l’obiettivo di favorire la crescita professionale della popolazione femminile, pertanto promuove molte iniziative per far emergere il talento, sostenere le carriere, diffondere modelli di ruolo e sostenere campagne innovative, sia interne sia esterne all’azienda. Un’iniziativa interna, nata proprio con il fine di promuovere la crescita professionale delle donne, è il progetto “Elevate Italy” che, attraverso programmi formativi, di mentoring, shadowing, interni ed esterni all’azienda, offre a donne di età e professionalità diverse sia l’opportunità di mettere in luce i propri talenti sia di aumentare e creare il proprio network di relazioni.

Doriana De Benedictis, all’epoca Diversity Engagement Partner per IBM Italia ora in EY, ha contribuito con alcune iniziative al programma di sviluppo professionale dedicato a questa popolazione. La sua intuizione è stata quella di creare le condizioni per supportare le professioniste in un percorso di presa di consapevolezza del proprio valore e nella capacità di comunicarlo alle persone giuste al fine di apprendere modalità per farsi conoscere in azienda, farsi un nome e attrarre nuove opportunità.
Doriana ci ha chiesto quindi di implementare un programma incentrato sul Personal Branding suddiviso tra eventi in plenaria aperti a tutti, per favorire la sensibilizzazione, e un percorso personalizzato che ha coinvolto i colleghi e le colleghe delle sedi di Segrate e Roma. Doriana ha così commentato l’attività: “La diversità è in realtà il punto di forza, che se ben valorizzato crea vantaggi per la propria carriera e per l’azienda. Il programma di Personal Branding ha permesso alle professioniste di prendere consapevolezza e di sviluppare iniziative per comunicare meglio il proprio valore”.
Un pensiero in linea con quello che afferma Gabrielle Wood, studiosa alla Kaplan University: “per le donne in particolare, un forte Personal Brand può aprire le porte a nuove opportunità di business e di carriera. Le donne intelligenti sanno che il colmare il divario di genere sul posto di lavoro ha inizio con il sostegno delle colleghe e che connettersi è il modo migliore per creare importanti legami di rete con altre donne nel mondo degli affari”.
3.Personal Branding per l’employability
L’employability è un concetto non troppo noto, che definisce però un aspetto cruciale del mondo del lavoro di oggi: la capacità di ciascuno di attrarre e mantenere un lavoro.
Potrebbe sembrare alquanto contraddittorio per un capo del personale valorizzare una persona affinché trovi un nuovo impiego. Eppure, come abbiamo visto poco sopra, non è così. Anzi, sono proprio la volatilità dell’attuale forza lavoro e il suo mancato attaccamento aziendale a suggerire una strategia di contrattacco. Se lo vogliono, le persone cambiano comunque lavoro.
Di questi tempi, proprio per la difficoltà di trovare le persone giuste, ha più senso investire perché siano felici del loro ruolo, crescano e – paradossalmente – risultino più appetibili ad altri datori. La variabile vincente sarà proprio l’engagement, a quel punto. I competitor possono offrire stipendi più alti o benefit più vistosi, ma è sempre più chiaro che i lavoratori privilegiano gratificazioni personali, promozioni, più tempo per sé o per la propria famiglia.
Si tratta di un argomento controverso, che è diventato ancora più attuale nel contesto volatile moderno, in quanto l’employability è di fatto un fattore di agilità. Trasferire competenze in grado di aiutare i dipendenti a valorizzarsi, autodeterminarsi e a capire quali opportunità perseguire aumenta per chi si occupa di coordinare le risorse umane la possibilità di sapersi presentare con efficacia ai vari stakeholder durante i percorsi di mobilità, di farsi un nome nella propria azienda e di reagire con più agilità al cambiamento.
Un interessante caso di applicazione del Personal Branding ai fini della employability riguarda il team di Career Coach di Swiss Post. Swiss Post è la più grande azienda svizzera. Più di 60.000 dipendenti provenienti con più di 100 differenti ruoli professionali contribuiscono al suo continuo successo.
A valle dei cambiamenti intercorsi nel settore, ha sentito la necessità di supportare i suoi collaboratori nello sviluppo della loro employability, per facilitare l’agilità e la mobilità interna ed esterna. Per questo motivo ha successivamente incluso un team di career coach distribuiti geograficamente nei vari cantoni e con una mission peculiare e molto moderna: supportare i collaboratori in qualsiasi decisione di carriera ritengano necessaria, riservando un nuovo step del suo processo di lavoro all’attività di Personal Branding.
È stato subito evidente che per esercitare tale attività con coerenza fosse necessario lavorare sulle competenze di Personal Branding da un lato e sulla strategia di immagine professionale, soprattutto digitale, degli stessi coach dall’altro. Del resto i coach rappresentano il principale punto di contatto del team con i dipendenti di Swiss Post per quanto concerne la loro employability.
Per tali motivi Karin Albisser, leader del team, ci ha chiesto di supportare il team in un processo di formazione e mentoring con questo duplice obiettivo e in particolare attraverso l’utilizzo di strumenti visuali e facili da apprendere quali il Personal Branding Canvas. Commenta così questa esperienza: “Il Personal Branding è il plugin ideale del nostro processo di career coaching. La complessità della carriera moderna richiede strumenti per aiutare i coachee a posizionarsi in maniera dinamica e far percepire il proprio valore a valle del continuo cambiamento”.
4.Personal Branding e sviluppo professionale
Un ultimo pilastro nella valorizzazione delle risorse umane è lo sviluppo professionale dei collaboratori, che oggi non si limita ovviamente più alla formazione, ma include aspetti quali coaching, mentoring, learning on the job, job rotation e mobilità.
Uno degli sforzi principali da considerare riguarda la stesura di un piano di intervento e l’analisi di eventuali esigenze formative da soddisfare. La complessità della carriera moderna, sempre meno lineare, rende tutto meno prevedibile: la definizione degli obiettivi professionali diventa parte integrante dello sviluppo professionale e occorrono strumenti pratici per fare prototipi e simulazioni e quindi ricavarne preziose conoscenze.
Il Personal Branding può essere di supporto in questo contesto, in quanto è un esercizio che aiuta il collaboratore a prendere consapevolezza della sua immagine attuale rispetto a quella desiderata. Di fatto tutti i nostri progetti e il nostro approccio al Personal Branding sono supportati dalla metodologia del design thinking, al punto che fin dal 2013 abbiamo creato, raccolto e distribuiti una serie di strumenti di visual e design thinking nel nostro Toolkit per l’Innovazione Professionale. Il design, del resto, riguarda anche l’idea di immaginare uno scenario futuro e portarlo al presente per acquisire importanti conoscenze e attivarsi con la progettualità.
L’esercizio di andare a progettare la propria immagine professionale futura all’interno di un piano di carriera permette al collaboratore di rendersi conto della fattibilità del suo progetto di sviluppo, verificando per esempio gli elementi da delineare per essere credibili e per far percepire una solida promessa di valore.
Nonostante questo esercizio sia praticamente parte di ogni progetto di Personal Branding in azienda, in particolare se implementato con i nostri strumenti di design, ci sembra opportuno mostrare un esempio trasversale a vari settori, così da dimostrarne l’estrema efficacia. Lo proponiamo infatti costantemente agli studenti di business school del calibro di SDA Bocconi e St Gallen.
In questi ultimi contesti in particolare facilitiamo negli studenti un percorso di riflessione sulla loro immagine professionale attuale, quella che attivano proprio mentre frequentano i master o poco prima di iniziare, nel caso dei percorsi full time. Successivamente stimoliamo un esercizio di design sulla loro immagine futura, per esempio in vicinanza al termine del master, una volta cominciata la ricerca di lavoro, simulando un’ipotesi di obiettivo professionale, per esempio una posizione specifica in un certo tipo di aziende.
L’idea è quella di far eseguire loro una sorta di stress test per capire se quella configurazione funziona davvero, eventualmente apportare dei cambiamenti e di fatto anche operare un reality check, per un feedback concreto rispetto a scenari che potrebbero non essere veramente realizzabili. In questo modo possono arrivare all’obiettivo finale: fare mente locale su eventuali attività di networking, integrazioni della formazione, iniziative da attivare, mentoring da ricercare ecc.
“Il Personal Branding e gli strumenti di design quali il Personal Branding Canvas hanno permesso ai nostri studenti di sviluppare idee concrete per far mente locale in anticipo, attivarsi per tempo e avere un approccio pratico da utilizzare anche successivamente in autonomia”, dice Sabyne Moras, Head of Career Service, SDA Bocconi, Master Division.
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